16 maggio 2016

Restare con lei non ucciderà solo i tuoi sogni, ma anche i suoi (cit.)


Era nell'aria da qualche anno, ma ora è più evidente che mai: l'Oriente sarà il centro di ricerca e sviluppo nel settore tecnologico/manifatturiero negli anni a venire. Anzi no, lo è già diventato...!

Ma quale Oriente? Non quello Vicino o quello Medio, e nemmeno quello Estremo.
India, Cina, tutta la penisola indocinese e le zone limitrofe: un "conglomerato di persone" che supera ampiamente i 3 miliardi di individui sta spingendo per aprirsi al Vecchio Continente e al mercato americano.

Molti penseranno «E dov'è la novità? Sono anni oramai che siamo sommersi da prodotti cinesi o che anche quelli progettati qui in Occidente vengono poi costruiti lì...».

In realtà -ultimamente- le cose sono un po' cambiate...


Segnatevi pure i seguenti termini: commercio elettronico, software di controllo, forza-lavoro e costi di produzione.

Negli ultimi 10 anni la crescente richiesta di dispositivi elettronici (quali smart-phone, tablet ed affini) ha portato sempre più aziende europee e -soprattutto- americane a spostare la produzione in Oriente. Condizioni economiche più vantaggiose e la possibilità di produrre un maggior numero di pezzi nel minor tempo possibile han fatto sì che il know-how relativo ad assemblaggio e costruzione dei vari device sia stato condiviso con le popolazioni locali.

I dispositivi elettronici fanno uso di componenti hardware generalmente prodotte in quei paesi; e per funzionare ed essere riconosciute dal sistema operativo che governa il dispositivo nel suo complesso, tali componenti necessitano di driver che devono essere sviluppati dai rispettivi produttori. Essi fino a qualche tempo fa non potevano far altro che limitarsi a produrre l'hardware, sviluppare i driver ed immettere il tutto sul mercato.
Ma grazie alla diffusione di software a codice completamente (o in gran parte) aperto, come i sistemi operativi che controllano i device stessi (in particolar modo Android), le varie aziende manifatturiere si sono trovate in mano la possibilità di realizzare prodotti completi nell'hardware e nel software.

Ciò ha dato vita inizialmente alla diffusione di una marea di dispositivi costruiti alla "meno peggio" e distribuiti a costi irrisori in Oriente e che, grazie al commercio elettronico, poi sono in qualche modo arrivati anche da noi.

Ma le cose, poi, si sono fatte ben più interessanti.



Una volta assimilati i processi di produzione ed assemblaggio delle componenti hardware ed una volta avuto accesso al software di controllo, le filiere sono migliorate giungendo alla costruzione di dispositivi perfettamente equivalenti (se non superiori) a quelli dei più noti brand occidentali o dell'Estremo Oriente. E, in più, le aziende di quei luoghi hanno iniziato a sviluppare interi ecosistemi attorno ai prodotti stessi.

Ecco quindi che, oltre ai giganti come Lenovo (+ ZUK), ZTE, Oppo (+ Oneplus), Asus, Alcatel, Vivo e Huawei/Honor, nomi come Xiaomi, Meizu, Elephone, Umi, LeEco, Gionee, Zopo, Coolpad, IUNI, Intex, Micromax (+ YU), CREO e tanti altri sono usciti allo scoperto sia invadendo i mercati locali sia spostando l'attenzione su quelli nostrani.

Quelle stesse aziende, che prima (e che continuano a farlo tuttora) producevano in massa per chiunque ne facesse richiesta, ora hanno iniziato a metterci la faccia e riportando grande successo.


Allo stesso tempo il mercato ha iniziato a saturarsi (esattamente come già accaduto per quello dei personal computer) e l'evoluzione tecnologica sta facendo sì che la maggior parte degli acquirenti non sia più invogliata all'acquisto di device estremamente costosi: un qualsiasi medio di gamma può eseguire le stesse identiche operazioni di un dispositivo top e, addirittura, per una fetta decisamente ampia di utenti persino un moderno base di gamma è più che sufficiente.

Ed è qui che l'offerta delle aziende cinesi e indiane si è fatta forte e continuerà ad esserlo nel prossimo futuro: volti noti come Samsung, Apple, LG, Sony, BlackBerry o HTC negli ultimi tempi stanno subendo grosse perdite di share (come si evince dai dati di vendita mondiali dei produttori). Essi non sono stati in grado di portare sul mercato dispositivi economici capaci di competere sul fronte prezzi con quelli offerti a cifre irrisorie dai produttori asiatici.

Molti di quest'ultimi, infatti, riescono a contenere meglio i costi di produzione rispetto ai brand più blasonati e nelle loro line-up non offrono device top a cui "proposte più economiche" possano tagliare le vendite. Spesso, poi, si tratta di attività commerciali molto snelle che operano solamente on-line (eliminando quindi gran parte della classica filiera gestionale) e che adoperano tattiche di produzione e vendita mirate alla "non gestione" di magazzino: preordini, vendite flash, strategie rivolte a specifici sotto-mercati, o altre tattiche sono all'ordine del giorno.


In parte ci siamo già passati: quello che sta accadendo oggi è simile a ciò che accadde alla fine degli anni '80 - inizi '90 nel mercato dei PC, solamente traslato alle possibilità date dal commercio globale.

Inoltre, come già accennato, a differenza di allora la battaglia si è allargata anche al campo software e relativi ecosistemi. Con il fatto che Android è pronto all'uso, libero da vincoli e può essere utilizzato ed implementato da chiunque, fork e soluzioni alternative sono proliferate.

Finora i produttori che stanno per affacciarsi in Occidente (o che lo hanno fatto più o meno in sordina negli ultimi mesi/anni) hanno sempre operato in due modalità differenti: dentro le mura domestiche sono rimasti lontani dalle "reti contenitive" di Google (e dei suoi servizi); al di fuori hanno optato per re-inserire le Google Apps (richieste dagli utenti occidentali).

Non è detto che in futuro, quando e se gli ecosistemi proprietari saranno maturi, tali produttori continueranno a comportarsi in tale modo. E la cosa si fa importante se si pensa che oggi in Asia un gran numero di device dotati del robottino verde è basato su soluzioni prive dei servizi di BigG.


Sarà forse per affrontare definitivamente anche questa "emergenza" che Google (oltre alle altre varie gatte da pelare) ha riportato a sé uno dei nomi, Rick Osterloh, che negli ultimi anni ha fatto rinascere Motorola dalle ceneri (prima di essere assorbita nelle maglie di Lenovo) così da guidare, tra gli altri, anche la divisione Androidone?


Oltre a spostare gran parte delle API dal core del sistema Android ai Google Play Services (con lo sbarco del Google Play dato per certo a breve anche in Cina), è con Androidone che BigG da circa un paio di anni sta cercando di controllare la schiera di dispositivi low-cost che vengono (e verranno) venduti nei mercati emergenti come la penisola indocinese. Finora l'iniziativa non ha funzionato al 100%, ma con nuove mosse strategiche può diventare un'arma in grado di riportare le Google Apps -e soprattutto maggior controllo- su quell'ondata di dispositivi provenienti dall'Oriente che continueranno a dominare l'Asia ed inizieranno lentamente a conquistare grandi fette d'utenza negli altri mercati mondiali.



Come andrà a finire secondo voi?

Google rischia davvero di perdere il controllo su Android oppure con i piani messi in atto riuscirà a riappropriarsi completamente della sua creatura?

Ma soprattutto: questi nuovi brand orientali riusciranno a mantenere ritmi di crescita consistenti e soprattutto alto l'interesse su di loro, oppure con l'arrivo della prossima ventata tecnologica (presumibilmente quella della realtà aumentata) essi saranno ridimensionati?