8 ottobre 2015

La verità è singolare, le sue versioni sono non-verità (cit.)


Da qualche anno, quelli di settembre ed ottobre (oltre a segnare il passaggio dall'estate all'autunno) sono diventati -in ambito tecnologico- i mesi di presentazione di tutti quei prodotti che andranno a riempire gli scaffali dei negozi (fisici e/o virtuali) per affrontare la stagione commercialmente più calda: il periodo natalizio (da fine novembre a dicembre) e le successive settimane (i primi mesi dell'anno seguente fino all'arrivo della primavera).

Ed è per questo semplice motivo che, in meno di 30/40 giorni, eventi come IFA o show individuali hanno riempito l'agenda degli addetti ai lavori ed il tempo di noi curiosoni -e attenti- consumatori (in alcuni casi anche dei meno appassionati).

Oggi, perciò, volevo andare a riprendere il discorso iniziato con le mie riflessioni su quanto mostrato all'Internationale Funkausstellung in Berlino di inizio settembre (ed in generale sugli avanzamenti del settore), completandolo con quanto appreso dai singoli eventi tenutisi le scorse settimane di Apple, Amazon, Google ed infine Microsoft: proprio quegli stessi quattro cavalieri su cui già un anno fa era ricaduta la mia attenzione.

Buona lettura e abbiate pazienza: sarà un po' lunga... (#TL;DR)!


I primi anni dell'ultimo decennio (dal 2011 al 2014) hanno fatto segnare il passaggio definitivo dal mondo fisso (computer desktop, telefonia e fax, TV, ...) a quello mobile (laptop e tablet, smart-phone, e-mail, IM, social network, dongle e streaming in mobilità, ...).
Non si lavora, gioca o trascorre più il tempo immobili in una unica postazione (che sia l'ufficio, la scrivania, il divano di casa o la sedia nei pressi del mobile del telefono): tutto è ormai dinamico e senza orari!


Chiaramente ciò non è vero in tutto il mondo, ma Google, Facebook (sia come rivali che come alleati), Microsoft ed altri grandi nomi si stanno ingegnando (nel bene o nel male) per portare il web in ogni dove (ve ne avevo già parlato qua).

Del resto, l'ubiquità raggiunta qui da noi grazie ad Internet ed al mobile (con l'ausilio della tecnologia indossabile e della diffusione delle reti veloci) ha cambiato completamente il nostro modo di vivere e di relazionarci.


I personal computer come li conoscevamo fino a qualche tempo fa sono morti: nessuno comprerebbe più un computer fisso se non per particolari esigenze. I laptop hanno sostituito i vecchi tower, i tablet hanno superato i PC domestici nell'uso multimediale, le soluzioni set-top-box o i vari dongle e lo streaming divoreranno la televisione (probabilmente anche quella satellitare), e gli smart-phone sono lo standard de-facto per qualsiasi esigenza comunicativa (vocale, testuale, video-fotografica, ...).



Giunti ormai alla metà del decennio (cioè il biennio 2015/16) è in questa nuova realtà -in cui ci troviamo per lo meno in Occidente e nelle aree più sviluppate dell'Oriente- che i giganti dell'informatica la stanno facendo da padrone.
Essi stanno impostando le basi di ciò che arriverà alla fine di questi dieci anni (tra il 2017 ed il 2020), e in quelli successivi.


Possiamo essere certi che saranno loro i primi a spostare le proprie mire verso ogni possibile settore dell'industria (e già lo stanno facendo!).
Fino ad oggi l'obiettivo primario era quello di estendere il computing oltre il mondo dei personal computer, nonché di spostare l'attenzione dalla rete delle grandi infrastrutture a quella della corsa allo spazio.

Quello a cui ora stiamo assistendo è l'intento di interconnettere le cose tra loro (l'IoT -sempre più ingombrante-) puntando diritti all'IA nel futuro e al settore automobilistico nell'immediato: le auto che si guidano da sole sono un sogno inseguito da molti e su cui gli investimenti sono immani (Google, Tesla, Volvo, il governo giapponese...).
Le tante possibili conseguenze di tali investimenti attirano e dividono, e procedono molto velocemente (ed anche di questo ve ne avevo già parlato qui).

Non c'è limite al progresso, ma soprattutto al desiderio di coprire ogni possibile ramo.



Tornando con i piedi per terra e al mese appena trascorso, risulta ancora più evidente che l'obiettivo principale di tutti i grandi player è quello di blindare nell'intreccio dei propri servizi (a cui ci si può riferire impropriamente con il termine ecosistema) il maggior numero di utenti, di offrir loro quel qualcosa che li intrappoli e non li faccia più scappare via.

Scegliere oggi una delle bandiere esistenti non è più cosa banale come poteva esserlo qualche anno fa: occorre valutare attentamente cosa ci viene offerto, poiché una volta intrapresa una strada difficilmente sarà possibile deviare il cammino (se non ricominciando tutto da capo reinvestendo, il più delle volte, tempo e denaro).

Attenzione però che non tutti i player giocano sullo stesso piano: c'è chi va all in (Apple), chi abbraccia al 100% due ecosistemi e di lì non si muove (Google), chi cerca di recuperare il tempo perso spostando il focus dai prodotti all'esperienza unificata cross-device e platform (Microsoft), e chi invece se ne sta più o meno super partes spingendo sui contenuti e cercando di renderli ubiquitari (Amazon).


Ad ogni modo, tutti questi ecosistemi stanno diventando così complessi che scelta una via diventa sempre più arduo considerare le alternative.
Lo sanno bene Apple e Google (le due aziende con la brand reputation più alta al mondo); Microsoft è ancora qualche step indietro, ma chiaramente punta allo stesso obiettivo, seguita a ruota da Amazon e gli altri...

Ma quali sono state queste ultime nuove che hanno cementato ancor più i profili delle aziende appena nominate?


Apple



Ad aprire le "danze" (nella serie di show singoli dell'ultimo mese) è stata l'azienda di Cupertino, che durante l'evento del 9 settembre ha svelato le sue armi: i nuovi iPhone, il nuovo iPad Pro con la Apple Pencil, e la nuova Apple TV.
Ampio spazio è stato dato a watchOS (con le sue apps ed i nuovi colori e fatture per l'Apple Watch) e a tvOS; mentre per iOS, OSX ed altri prodotti ben rodati (come anche iPad mini) non c'è stato tempo.

Come suo solito Apple riesce a mantenere alta l'attenzione attorno ai propri dispositivi coprendo in sordina le mancanze rispetto alla concorrenza e focalizzando l'attenzione su aspetti che, all'inizio, possono sembrare marginali o secondari, e che poi con il corso del tempo portano gli avversari a seguirne le orme.


I nuovi iPhone sono degli S, il che si traduce in design immutato rispetto alla precedente versione, ma spinta sull'hardware interno (nuovo processore, nuove fotocamere con qualche funzione in più, più RAM, stesso taglio di memoria meh!) ed introduzione di almeno una nuova feature su cui modellare il prossimo modello.

Quest'anno è toccato al 3D Touch (per il 3GS ci fu un hardware raddoppiato rispetto al vecchio modello e l'arrivo dei comandi vocali tramutati poi in Siri con il 4S; con il 5S è stato introdotto il TouchID trasformatosi poi in Apple Pay).

Il Force/3D Touch è un sensore che permette di rilevare la pressione con cui l'utente interagisce sul display, e di percepirla fino a 3 livelli. Niente di rivoluzionario se si pensa che la stessa tecnologia è già presente sull'Apple Watch e sugli ultimi portatili dell'azienda.
Ma, ovviamente, iOS è in grado di interpretare queste informazioni aprendo a nuove modalità di interazione. E per quando tutte le app di terze parti (e anche quelle di sistema) avranno trovato il miglior modo possibile per sfruttare questa novità ecco che all'orizzonte apparirà l'iPhone 7.


Negli Stati Uniti d'America molte cose stanno cambiando nel settore delle telecomunicazioni: fino a poco tempo fa la maggior parte dei contratti telefonici avveniva sotto forma di abbonamento biennale, al quale era di norma associata la vendita di uno smart-phone a prezzi "agevolati".
Tattica fin dall'inizio abbracciata anche da Apple per permettere ad un numero maggiore di utenti l'avvicinamento al proibitivo costo del melafonino (che ogni anno aumenta regolarmente, almeno in Italia: quest'anno si parte da 779€ e 889€ rispettivamente per le varianti più "economiche" del 6s e del 6s Plus).

Aziende come Google, d'altro canto, hanno ben presto cercato di contrastare questa modalità di affiliazione e vendita, poiché i carrier telefonici -tra le altre cose, con i loro tempi lunghi- rallentano l'evoluzione delle piattaforme (e questo è vero specialmente nel mondo di Android).
L'idea è quella di vendere i telefoni liberi da vincoli, esattamente come accade in molti paesi europei (Italia compresa).

Google ci provava con il Nexus One ma probabilmente era troppo avanti con i tempi per il mercato americano (era il gennaio del 2010), ed effettivamente quei progetti fallirono (i successivi Nexus tornarono ad essere venduti principalmente dagli operatori telefonici).
Ma oggi la situazione è cambiata grazie all'arrivo di tanti brand orientali (ZTE, Lenovo + Motorola, Asus, ...) che riescono a proporre valide alternative a prezzi decisamente più abbordabili.
E gli stessi operatori statunitensi hanno cominciato a proporre piani telefonici equivalenti ai nostri abbonamenti mensili, o addirittura alle ricaricabili.

Per questo motivo Apple è corsa ai ripari creando un programma/piano che al fronte di un pagamento mensile permetta all'utente di ottenere un dispositivo libero da vincoli e sostituibile all'uscita del nuovo modello. Con tanto di Apple Care inclusa.
Le vendite di iPhone sono più forti che mai, e questo incentivo non potrà far altro che aumentarle nonché fidelizzare ancor di più gli utenti, chiudendoli in quel circolo vizioso che rimarrà vantaggioso soltanto finché si continuerà a pagare per usufruire dell'offerta.


iPad Pro, però, è stata la vera star del keynote: Apple non ha soltanto allargato le dimensioni della sua tavolozza (chiaramente destinata ad un pubblico ben preciso), ma la ha anche accompagnata con un dispositivo che in molti non si sarebbero aspettati.

Due sono stati i momenti chiave: l'ascesa sul palco di Microsoft per presentare la propria suite Office realizzata appositamente per il nuovo nato dell'azienda rivale (senza dimenticarci delle collaborazioni con altri grandi big del settore, come Adobe), e l'introduzione della Pencil.

Un dispositivo pensato per un'utenza business, creativa o con elevate necessità in mobilità è la dimostrazione lampante di come soluzioni introdotte tempo prima dalla concorrenza fossero buone, ma che probabilmente saranno surclassate velocemente.
E la stessa azienda di Redmond, fiera dei sui Surface Pro (di più fra poco), non ha potuto far altro che aggregarsi e portare il proprio cavallo di battaglia (la suite per ufficio più utilizzata al mondo) sulla piattaforma concorrente.
Tale politica rientra sicuramente anche in quella che è la nuova faccia di Microsoft (e anche su questo ci tornerò fra poco), ma è sotto alcuni punti di vista una giusta ammissione di inferiorità senza precedenti.


Passo successivo: Apple TV, il set-top-box rinnovato che va a recuperare terreno su Androidtv. Esattamente come la soluzione di Google si muove attorno a Google Now, qui tutto è legato a Siri e alle nuove capacità di ricerca che le sono state fornite.

Nonostante tvOS (il sistema operativo derivato da iOS che muove la nuova Apple TV) sia stato presentato in pompa magna, non sembrano esserci particolari punti di superiorità rispetto alla controparte Google la quale nasce sia per essere installata in set-top-box sia all'interno dei TV stessi.

Carino il comando touch con sensori che fa il verso alla Nintendo Wii, ma niente di così realmente eccitante. L'idea alla fine è sempre la stessa (nonostante in Apple come al solito si fregino del titolo di innovatori del settore): portare le applicazioni sul televisore, e una volta che gli sviluppatori di terze parti avranno riempito il catalogo con la loro offerta si potrà parlare anche di rivoluzione della televisione.

Se ad iPad sono toccati due cambiamenti lato produttività (la collaborazione stretta con altre aziende leader nei rispettivi settori e la creazione della penna per spingere nel settore business) e ad iPhone due novità di accesso (quello fisico con l'arrivo del 3D touch e quello mediatico con il "raddoppio" sul fronte allontamento dai carrier, dopo l'introduzione dell'Apple SIM dello scorso anno e rumors su provvedimenti per il futuro); alla Apple TV sono toccati due avanzamenti di ecosistema.
Il primo è la rinnovata potenza di Siri, mentre il secondo è l'assenza delle WebView in tvOS. Questa seconda mossa passata decisamente in sordina va invece a braccetto con l'arrivo di Apple News e con l'introduzione degli ad-blocker in Safari/WebKit per iOS.

Apple (come molti altri) sta cercando di rendere difficili i guadagni pubblicitari via web, il cui più grande provider è Google...

L'azienda californiana più ricca di qualsiasi altra azienda al mondo ha cambiato molte delle proprie strategie di mercato dalla morte di Steve Jobs ad oggi, ma probabilmente lo spirito alla base non è mai stato intaccato: si procede sempre in direzioni chiare e si punta a settori ben precisi del mercato, rimanendo però fermi sulle proprie convinzioni.


Amazon



Alla lunghissima -a tratti noiosa e fastidiosa- presentazione di Apple (più di 2 ore di keynote piene dei soliti inutili applausi, gag non esilaranti e frecciatine gratuite alla concorrenza) si è contrastata quella decisamente lampo di Amazon.

Il 17 settembre l'azienda di Seattle ha annunciato diversi nuovi dispositivi che fanno dell'intrattenimento la loro stessa ragione di esistere: i nuovi tablet Fire e Fire HD, e la nuova Fire TV anche in versione Gaming e Stick.

Probabilmente essi non aggiungono molto a ciò che Amazon sa fare e continua a fare alla grande, ma sotto diversi punti di vista erano upgrade necessari.

Stiamo parlando di un impero immenso che va (escludendo tutta l'area AWS) dalla vendita al dettaglio fino alla grande produzione cinematografica (con possibili risvolti in arrivo), legato indissolubilmente alla vendita di libri, musica, film e contenuti digitali di ogni genere e sotto ogni forma (fisica, virtuale, ...).

Per questo motivo i dispositivi presentati (e rinnovati rispetto agli anni passati) continuano ad essere nient'altro che degli showcase: Amazon vende e permette di accedere ai contenuti che offre su qualsiasi piattaforma esistente, dal computer a tutti gli OS mobili.

Creare dongle multimediali, set-top-box o tablet che favoriscano la fruizione dei prodotti presenti a catalogo non fa altro che perseguire quell'obiettivo e chiuderne il cerchio. Poco importa di venderli sotto costo o di non venderli affatto (ma poi distribuire sul proprio portale alcuni device della concorrenza): la speranza è che essi vengano utilizzati per acquistare gli altri beni presenti su uno degli store virtuali più grandi al mondo.

Ed è proprio in questa chiave che va letto il recente blocco alla vendita di alcuni set-top-box della concorrenza che scatterà da fine mese: la Apple TV, il Nexus Player ed il Chromecast non permettono la riproduzione dei contenuti di Prime Video!

Amazon non è nuova a queste politiche rigide e Jeff Bezos, CEO e fondatore di Amazon, è inoltre perfettamente a conoscenza di come stiano evolvendo le cose nel mondo dell'editoria e dell'informazione (nonché della pubblicità, quindi quello dei veri guadagni): per certi versi la sua azienda ne è anche una delle cause di evoluzione.

L'intento è quello di spingere con forza sulla diffusione dei propri servizi, come Prime ed annessi e connessi, che permettono alla sua azienda di continuare a rimanere nella vetta dei leader del settore.


Google



Tra affronti diretti e indiretti dei concorrenti, è qui che entra in gioco BigG: il 29 settembre l'azienda di Mountain View ha mostrato una valanga di novità hardware e software in poco più di un'ora di incontro. Anche perché nel corso dei giorni precedenti (e quelli successivi) tanti altri annunci erano (e sono poi) stati fatti.

L'approccio di Google (e quello di Alphabet, ora che la transizione è stata completata) è da sempre stato l'esatto opposto di quello utilizzato ad esempio da Apple (e spesso Amazon).
Molte aziende preferiscono concentrare in pochi eventi tanti lanci di prodotto, così da sfruttare al 100% la presenza della stampa e di dare un messaggio coerente o comunque di brand.

Google se può fa il contrario: accorpa alcuni prodotti e di altri ne frammenta le presentazioni; non annuncia funzionalità chiave e magari si perde in discorsi troppo nerd.
Essa è l'esatta rappresentazione del fermento che la muove e la anima, e che in un modo o nell'altro riesce a farla apparire meno azienda (o volendo meno "cattiva") rispetto agli altri grandi del settore.


Ed è così che il 10 settembre è stato lanciato Android Pay con un semplice comunicato stampa sul blog ufficiale. E qualche giorno più tardi abilitato tramite l'arrivo della applicazione dedicata e la ricollocazione della vecchia app Wallet (giunta in contemporanea anche su iOS).

Già iOS, nei giorni precedenti sulla piattaforma concorrente Google rilasciava anche il supporto ad Androidwear, giusto per confermare la volontà di coprire nel miglior modo possibile i due ecosistemi più popolari al mondo.
Certo non tutte le funzionalità (che aumentano progressivamente ogni giorno che passa, spesso legate all'introduzione dell'ennesimo nuovo orologio) potranno essere garantite, ma l'obiettivo come al solito è quello di raggiungere più utenti possibili. Con buone probabilità di bissare anche nel campo wearable quanto già ottenuto in quello dei device mobili.



I device mobili... Quest'anno anche BigG ha raddoppiato, e non uno ma ben due nuovi Nexus sono stati svelati: il Nexus 6P (by Huawei, 5.7", materiali ricercati) ed il 5X (by LG, 5.2", modello più economico sia nella fattura che nei componenti interni). La padella e la brace :P

Tralasciando il fatto che siamo nel 2015 e che tutto viene allo scoperto ben prima che gli eventi preposti comincino (così è stato per Apple, così per Google e Microsoft), qualche dettaglio rimane sempre allo scuro.

Per i nuovi portabandiera dell'armata Android, le due novità sono state sicuramente il Sensor HUB ed il Nexus Imprint.

Il primo fondamentalmente ucciderà Motorola permetterà ai due device (ed in futuro chiunque vorrà implementarlo, poiché gestito da Android e non specifico dei telefono di Google) di capire in che stato si trova il dispositivo. Permetterà di capire se lo stiamo sollevando dal tavolo, permetterà di riconoscere la nostra voce e così via: coprocessori che permetteranno, evitando il sovraccarico del SoC e risparmiando tanta batteria, di abilitare tutta una serie di nuove funzioni utili e smart.

Il secondo è fondamentalmente il supporto ai lettori di impronte digitali, ma che può imparare e migliorare con il passare del tempo, e che ovviamente dà il meglio di sé con Android Pay.

Le restanti caratteristiche dei dispositivi non sono nulla di eclatante (ok per la USB-C!, ma perché 2.1? meh!), perfettamente allineate con quanto già presente sul mercato (padelle, padelle, padelle), se non per una caratteristica su cui negli ultimi anni si sta puntando sempre più: le fotocamere.
I due nuovi Nexus, infatti, integrano dei sensori Sony che sulla carta promettono molto (si vedrà poi sul campo).

Assieme ai telefoni, esattamente come Apple, anche Google ha pensato a due programmi/piani per invogliarne l'acquisto (e in qualche modo tornare ad infastidire gli operatori americani): la vendita a rate tramite il Project Fi e una protezione aggiuntiva stile Apple Care denominata Nexus Protect (disponibile solo negli USA).

In Europa i nuovi Nexus saranno molto salati.


La presentazione di nuovi Nexus si traduce automaticamente in una nuova versione di Android: esattamente dopo 7 anni di vita, il robottino verde raggiunge la 6.0, Marshmallow!

Android conta oggi 1.4 miliardi di dispositivi ed il Play Store ha superato il miliardo di utenti attivi, ed è più verde/roseo che mai. Di novità ne sono state introdotte con costanza nel tempo, e con l'ultima release (già in arrivo sui vecchi Nexus e sugli Android One, prima o poi anche agli altri) si è puntato maggiormente ad affinare, stabilizzare e a dare maggiore coerenza generale, piuttosto che a introdurre tonnellate di nuove funzioni.

L'introduzione più grande di tutte, però, è sicuramente Now On Tap (coadiuvato dalle In-App Translations): l'evoluzione di Google Now che probabilmente cambierà faccia all'intero panorama mobile.

Ve ne ho ampiamente parlato mesi fa e non fa propriamente parte di Android. Ma mi spiego meglio...

Now On Tap è un servizio implementato al di sopra di una funzione introdotta con Marshmallow: la possibilità di leggere e analizzare quanto mostrato a video. Questo significa che chiunque può creare un servizio similare, ma ovviamente Google avendo implementato entrambi i layer è stata avvantaggiata.

Del resto oggigiorno separare i servizi offerti da Google su Android dalle funzioni base del sistema diventa sempre più complicato anche solo da immaginare. E una versione completamente edulcorata, per quanto possibile, probabilmente non interessa quasi a nessuno... O no?


Le vere star dell'evento, però, difficile pensarlo prima (?) sono stati i servizi ed i nuovi dongle multimediali.

Android for Work è ora utilizzato da più di diecimila aziende; Play Music riceverà nel corso dei prossimi mesi la possibilità di attivare abbonamenti famigliari (fino a 6 persone) scontati; Google Maps ha aggiunto il supporto all'Apple Watch; e Google Photos oltre al supporto per Chromecast (era ora!) riceverà tantissime nuove funzioni che lo renderanno ancora più evoluto ed unico nel settore.

Ho detto Chromecast?
Come per i Nexus anche questa famiglia si è allargata: date il benvenuto al rinnovato e coloratissimo Chromecast 2015 e al Chromecast Audio.

La più grande novità rispetto al passato è che la pennetta multimediale di Google non è più una pennetta: ebbene sì, ne è stata modificata completamente la forma in modo da migliorarne nettamente la ricezione del segnale (grazie anche al nuovo chip utilizzato, che ora supporta il Wi-Fi ac con tanto di doppia banda a 5 GHz). Oltre che a facilitarne l'aggancio in televisori con porte HDMI di "complicata" posizione.

Il nuovo Chromecast è mosso da un processore più potente rispetto a quello del vecchio modello, anche se al momento non è chiaro se questa potenza verrà mai in qualche modo sfruttata.
Anche perché, almeno in teoria, tutte le novità saranno disponibili anche per il modello di 2 anni e mezzo fa.

A cominciare dalla rinnovata applicazione per Android ed iOS, già disponibile al download. Nell'OS di casa, sul robottino verde, l'app permetterà di accedere a due nuove funzioni: What's On e Content Discovery.
Due facce della stessa medaglia, permettono di accedere a (o di scoprire in modo molto più rapido) tutti i (nuovi) contenuti riproducibili tramite il dongle legati alle applicazioni compatibili già in nostro possesso oppure da nuove scaricabili dallo store.

Nel corso dei prossimi mesi (fine 2015 - primi del 2016) arriveranno (almeno in USA) tantissime nuove app compatibili, la ricerca vocale tramite Google Now ed il Fast Play (il precaricamento "in sordina" della prossima puntata per un avvio più rapido) che farà la felicità dei Binge watchers.

Nuove API permetteranno di giocare a giochi sempre più complessi (via streaming), mossi dallo smartphone in uso (quindi non aggravando il poco-potente-processore del dongle) e anzi sfruttando tutti i sensori messi a disposizione dal cellulare/tablet di turno (che potranno aumentare nel corso del tempo, quando cambiamo dispositivo).




Assieme alla seconda generazione del Chromecast, è arrivato anche un nuovo dispositivo: il già nominato Chromecast Audio.
Tempo fa vi avevo riportato la presentazione del nuovo protocollo Cast realizzato da Google: esso non solo permette la riproduzione di flussi video, ma anche di soli flussi audio. Ed il nuovo device sfrutta proprio questa seconda possibilità per riportare in vita vecchi impianti audio che non dispongono di connettività wireless.

Per rendere giustizia alla soluzione appena presentata, Google ha ufficializzato il tanto atteso supporto da parte di Spotify al protocollo Cast (quindi sia Chromecast che Chromecast Audio)!
Purtroppo Apple si è (per ora) rifiutata di condividere il suo Apple Music.

Perché il Chomecast è un dispositivo di così grande successo (e probabilmente lo sarà anche il Chromecast Audio)?
Tralasciando il costo decisamente abbordabile, è l'idea stessa che c'è alla base: non sostituire ma potenziare strumenti che sono già in nostro possesso (TV, impianti stereo, e così via).

Quello che come al solito rimane poco chiaro nella politica di Google è: che fine ha fatto Androidtv?
In realtà anche l'altra piattaforma per l'intrattenimento domestico nel corso dell'autunno riceverà attenzioni con l'arrivo di nuovi partner (e per questo non c'è stato alcun rinnovamento del Nexus Player) e nuove apps/contenuti.

Quello che poco convince del Chromecast 2 (se vogliamo chiamarlo così, cosa che Google non ha fatto per un motivo molto preciso: non è un successore) è l'assenza del supporto al 4K.
I competitor sono molto agguerriti e tra Fire TV e la nuova Roku 4 in arrivo, la battaglia si è fatta davvero dura.

Certo, la piattaforma di BigG ha sicuramente molti punti a favore, ma come sempre in queste cose è meglio non adagiarsi sugli allori...


Presentato a sorpresa (di lui non si sapeva praticamente nulla), il Pixel C è il primo convertibile al mondo mosso da Android.

La serie di dispositivi Pixel di Google è formata solamente da device completamente progettati e realizzati da BigG senza nessun intermediario (come invece accade per i Nexus). Trattasi sempre di dispositivi di fascia decisamente alta e costruiti con materiali ricercati e accompagnati da funzioni smart.

In questo caso, il costoso tablet con tastiera (venduta separatamente) va a scontrarsi direttamente con l'iPad Pro e con i Surface Pro di Microsoft, ma sinceramente non ne è del tutto chiara la sua esistenza.
La famiglia Pixel è sempre stata sinonimo di Chrome OS il quale, nonostante tutti i suoi limiti, è un OS decisamente più assimilabile all'uso da ufficio. Android, al contrario, non è assolutamente pronto per quel tipo di utilizzo.

Che Google voglia spingere affinché sviluppatori di terze parti comincino a popolare il Play Store di applicazioni per il mondo tablet degne di essere definite tali?
Chissà: per ora non è facile nutrire grandi speranze in questo progetto...


Google ha cambiato volto (e nome) nel corso degli ultimi mesi, e vuole essere al centro di tutta la nostra vita digitale.
Come la storia ci ha insegnato finora, a Mountain View sono bravissimi a creare algoritmi, a risolvere problemi e ricavare grandi guadagni.
Ma sono anche pessimi nel marketing e nel posizionamento dei prodotti.

Android continuerà a dominare quasi-indisturbato, ma BigG deve imparare a muoversi meglio. Fa sicuramente bene a lanciare alternative e differenti modi per raggiungere l'ottimo in ogni campo (OS concorrenti, prodotti vari per finalità similari, servizi doppi, ...): sarà il tempo ed i fruitori a decretarne il successo, ma a volte occorre evitare di confondere troppo i propri utenti...


Microsoft



C'era grande attesa per l'evento di Microsoft, così tanta che leaks e rumors (improbabili e basati su fatti degli ultimi minuti) hanno tempestato il web nelle ultime settimane.

E così il 6 ottobre è finalmente giunto e con esso tante novità. Soprattutto hardware.

Nel movimentato keynote (a tratti imbarazzante, a tratti in stile predicazione) tenutosi a New York, la casa di Redmond ha in qualche modo sorpreso gli astanti: tre nuovi smart-phone (Lumia 950/950XL/550) con un dock (Display Dock), un nuovo braccialetto per il fitness (Band 2015), due nuovi Surface (Pro 4 e Book) con penna (Surface Pen), novità per Xbox ed HoloLens.

Ma andiamo con ordine!


I primi a salire sul palco (dopo una velocissima anticipazione di nuovi giochi in arrivo questo autunno per Xbox, e del nuovo Elite Controller personalizzabile) sono stati gli occhiali per la realtà aumentata: essi giungeranno nel Q1 2016 per i developer alla modica cifra di 3000$.
Si tratta di un dispositivo prototipale e che ha ancora molto da dimostrare (che fine ha fatto la copia del Cardboard?).

Nella demo (volutamente scenica) è stato mostrato il progetto (denominato -rullo di tamburi- Project X-Ray) che punta a creare un mondo 3D attorno a noi al di sopra della realtà che ci circonda (e quindi modellato su di essa: l'esperienza finale sarà differente in base all'ambiente in cui ci si trova) e con il quale è possibile interagire.

Microsoft ha iniziato ad accettare applicazioni di terze parti per gli HoloLens: ora sta agli sviluppatori dare un senso a tutto ciò...!
Vedremo che ne uscirà fuori.


Il primo dei tanti dispositivi annunciati è stata la reincarnazione 2015 del fitness tracker Band, ora compatibile anche con Android ed iOS, e che sarà in vendita presso tantissimi rivenditori partner.

Il rinnovato device è di gran lunga superiore a qualsiasi altro fitness tracker ad oggi esistente, per la grande quantità di sensori di cui gode e per la presenza di un grande display AMOLED curvo.
Rimane comunque un prodotto di nicchia (venduto anche a caro prezzo) che in qualche modo va a scontrarsi quasi più con i vari smart-watch che con i pari di categoria.


Step successivo: Windows 10 / Windows 10 mobile.

Dalla sua presentazione, siamo giunti a 110 milioni di dispositivi nel mondo mossi dall'ultima incarnazione dell'OS di Microsoft; lo store unificato ha superato le 669.000 apps (con nomi importanti in arrivo); e l'update per alcuni degli smart-phone presenti sul mercato arriverà a dicembre.

Ma la vera star è stata ovviamente Continuum: la possibilità di portare sul grande schermo ciò che stiamo utilizzando sul nostro telefonino, adattandolo però al formato più grande grazie alle Universal Apps.

La soluzione pensata da Microsoft consiste nello sfruttare il supporto al doppio display dato dagli ultimi SoC per dispositivi mobili, così da slegare ciò che è in esecuzione sul telefono da ciò che possiamo avviare sul secondo monitor. Ed è lo stesso telefonino a muovere le app contemporaneamente.

Per connettere il device mobile al monitor esterno, l'azienda ha mostrato un apposito dock (in vendita separata) che permette anche il collegamento di tastiera e mouse o anche memorie esterne, così da ricreare in qualche modo l'esperienza d'uso tipica dei personal computer.

Attenzione però: ricreare, poiché effettivamente non si parla dell'esperienza Windows completa, quanto più una sorta di Windows RT. Le applicazioni sono universali, quindi in grado di differenziarsi in base a se in uso su telefono o monitor, ma siamo sempre davanti ad una soluzione con diversi limiti.
Senza contare che: 1) occorrerà avere il dock con sé (o sfruttare il Miracast se supportato), e 2) bisognerà capire quali applicazioni effettivamente saranno compatibili.

Insomma non sono tutte rose e fiori o comunque non sarà la "panacea per tutti i mali" fin dal day one.


Al fine di garantire il corretto funzionamento di Continuum, Microsoft si è vista "costretta" a presentare due device effettivamente in grado di sfruttare questa caratteristica (che difatti non giungerà su nessun vecchio modello): i nuovi Lumia 950 e 950 XL.

Si tratta di due dispositivi fondamentalmente allineati con quanto presente sul mercato high-end, quindi top di gamma (principalmente Android): uno smart-phone (5.2") ed un phablet (5.7").
Anche a Redmond hanno deciso di intraprendere la strada del "più è padella più può essere potente", ed esattamente come i due nuovi Nexus, il modello con schermo più piccolo è anche meno prestante rispetto alla controparte più ingombrante.

Anche per Microsoft le caratteristiche su cui focalizzare l'attenzione sono state le fotocamere (ben 3 flash, lenti Carl Zeiss, e tutte le possibili fanfare: anche in questo caso occorrerà vedere sul campo).

Ma qualcosa doveva essere aggiunto per attirare l'attenzione dei più: il raffreddamento al liquido.

Prima che si gridi al miracolo o all'innovazione del secolo, è bene precisare che 1) il sistema è presente solo nel modello 950 XL, 2) non è assolutamente il primo device al mondo a montarne uno, 3) il sistema non è nemmeno lontanamente associabile a quello utilizzato nei personal computer.

Insomma, mettiamola così: il Qualcomm Snapdragon 810 è un processore che scalda troppo e occorreva incorporare una soluzione al fine di evitare che il telefono possa fondere durante l'uso con Continuum. Ed una soluzione veloce (di cui testarne l'affidabilità) è stata quella di integrare una qualche tecnica di raffreddamento con l'acqua (uno dei migliori dissipatori di calore).

Lasciando da parte le menate da nerd, questi device non fanno strappare i capelli a nessuno: design sottotono (molto 2013 style) e nessuna funzione particolarmente interessante che ne possa giustificare agli occhi dell'acquirente medio l'esborso di una cifra "importante".
Implementare Continuum (e Windows Hello) ha richiesto hardware potente (con annessi e connessi) che ha ovviamente un costo.
Difficile però pensare che orde di persone possano essere realmente interessate e invogliate all'acquisto da queste due funzioni (di nicchia). Rimangono tanti interrogativi.

Per questo motivo la stessa Microsoft ha pensato bene di aggiungere al portfolio di prodotti un nuovo entry level, il 550, che sarà il primo dispositivo di fascia bassa a montare Windows 10.
E che forse è tra i prodotti più interessanti mostrati (per rapporto qualità/prezzo: 139€ in Europa).


Molto più interessanti i nuovi Surface: non tanto il Pro 4 che è più un fratello del Pro 3 che un vero successore (nonostante la nuova Pen con punte intercambiabili, il display a 1024 livelli di precisione e nuova tastiera con lettore di impronte compatibile però anche con il vecchio modello), quanto più il Book.

Il Book è il primo laptop in assoluto creato da Microsoft e che va a riscrivere la categoria dei computer portatili. Prodotto decisamente di nicchia o comunque di fascia decisamente alta, il portatile è composto da due parti separabili: tastiera e schermo.

Qui una storia su come è stato realizzato. Si tratta sicuramente di un prodotto degno di nota, ma che non smuoverà le masse (1500$ per il modello base).


Microsoft è cambiata molto nell'ultimo anno dietro la faccia (e le decisioni) del nuovo CEO (qui un'intervista): l'idea alla base è quella di focalizzarsi sugli utenti più che sui prodotti. Di fare in modo che le persone, indipendentemente dalla piattaforma di utilizzo al momento, possano essere in grado di coprire i propri bisogni (soprattutto grazie ai servizi forniti dall'azienda).

A Redmond ora si fanno accordi con gli altri per portare le proprie app preinstallate su dispositivi Android; si creano distribuzioni Linux proprie e se ne sponsorizzano altre per i servizi cloud; si cerca di coprire ogni possibile realtà (perfino quella del piccolo Raspberry Pi); si vendono i vecchi impianti in Brasile per recuperare le perdite del reparto mobile ed in generale si cerca di creare accordi con terzi più che strozzare le collaborazioni.

Tutte le carte sembrano in regola per riportare quel successo che manca da anni, anche se qualcosa ancora non convince completamente.



Apple, Google, Microsoft ed Amazon: quattro realtà in diretta competizione tra loro, e sempre più in contrasto nonostante le cosiddette aperture all'esterno.
  • Apple continua a fare il suo gioco permettendo a terzi (sotto stretto controllo) di portare nel proprio mondo i loro strumenti così da sfruttarli per attirare le masse le quali dovranno necessariamente acquistare i prodotti studiati a Cupertino (e che sono la vera fonte di guadagno);
  • Google abbraccia e sfrutta completamente iOS e -ovviamente- Android per portare a praticamente il 90-95% degli utenti mondiali i propri servizi;
  • Microsoft si allarga sugli ecosistemi concorrenti (visto lo scarso interesse verso il proprio) per provare a recuperare il terreno finora perso;
  • e Amazon persiste nell'offrire ovunque i propri contenuti (anche svendendo sottocosto hardware in grado di riprodurli), depennando chi non ne permette la fruizione.

Quattro aziende, quattro filosofie differenti.

La verità è che sceglierne una significa indirizzarsi su di una strada ben delimitata che non permette di guardare con facilità alle alternative.

Ben presto al di sopra di Android, iOS, Windows, e così via, nasceranno una serie di servizi indispensabili che necessiteranno di un ecosistema piuttosto che un altro (che sia il nuovo TV, la nuova automobile, o chissà quale altro strumento).

E in quel caso la scelta giusta dovrà essere stata già fatta.
Voi da che parte state?